Gli intellettuali si distinguono se scelgono di calarsi nella verità del reale, senza pretendere di esaurirla. Per questo, nell'assurdità del dibattito attuale, gli intellettuali dovrebbero guardare: al tema dell'amore sfuggendo alle "gabbie regolamentari" nelle quali qualcuno vorrebbe imprigionarlo; al tema della ricerca, strategico per un Paese come il nostro, in maniera eticamente chiara ma fuori dal vincolante "principio di precauzione" (che, sostanzialmente, priva l'innovazione della sua "naturale" funzione di rottura delle certezze consolidate); al tema del governo della convivenza umana (e di ogni convivenza, originale ed autoctona) uscendo dall'ansia della "governabilità" e prendendo atto che molti dei processi vitali nei quali si sviluppano le comunità umane (sempre più "meticce" e dall'identità sempre più dinamica) sfuggono alle categorie della prevedibilità e, dunque, appartengono alla sfera dell' "ingovernabile". Sono alcuni esempi, tra i molti possibili, di sfide storiche che chiedono uno "sguardo complesso", non lineare, e che evolvono nelle informalità e nelle transizioni.
Gli intellettuali degni di questo nome non cercano di modellizzare, non si limitano ad assecondare le volontà del principe di turno ma cercano di porre in campo una ragione auto-critica e critica, mettendo al centro del loro pensiero il "mistero del dubbio" e prendendo atto che l'incertezza è un elemento fondamentale, e imprescindibile, di quello che chiamo "realismo progettuale".
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