Saturday 3 December 2016

Processi Critici - Per un "globale" di civiltà (di Marco Emanuele)

Quella che chiamiamo globalizzazione e che, con tutta evidenza, fatica a trovare un senso globale, rischia di avvolgerci e di travolgerci, non calandosi, problematizzandosi, nella realtà-che-è. La “non cultura” tecnocratica crea modelli certi e lineari che non fanno i conti con la complessità della realtà e con la sua “verità dinamica”; modelli che, pressoché resi titolari di una “vita autonoma” e resi onnicomprensivi e omologanti a causa della nostra irresponsabilità e della nostra indifferenza, cercano di misurare, quantificare, determinare la realtà in una pratica che non esito a definire “pre-totalitaria”.

Quando non avvertiamo il respiro della storia,non ri-cercando nelle informalità e nelle transizioni (dove scorre la vita), siamo nel pieno di un processo de-generativo che è crisi non compresa culturalmente e non governata politicamente. La crisi è naturale e necessaria nei processi umani, perfino ri-generativa; tale prospettiva positiva, della crisi che diventa opportunità, è possibile nel momento in cui abbiamo un pensiero sulla crisi, quando ci muoviamo lungo il sentiero progettuale della ri-appropriazione della realtà-in-noi.

Accettare la inevitabilità di modelli tecnocratici senz’anima globale, pratica sempre più diffusa nel mondo a-polare, significa consolidare il distacco tra noi e la realtà e, al contempo, rimanere vittime di una dis-umanità che sembra trionfare, paradossalmente nella nostra incapacità di andare oltre la superficialità dell’esperienza umana.

Ci sono fenomeni umani i irreversibili ? Mi pongo questa domanda pensando alle tante sollecitazioni che vediamo, nel mondo di oggi, di voglia di “exit” da ciò che non ci sia noto e che non sia territorialmente limitato, certo, autentico, lineare; una voglia che viene spacciata, a seconda dei casi, come bisogno di sovranità, di auto-determinazione, di libertà. A partire dalla Brexit, che ha segnato uno spartiacque storico come l’11 settembre, è evidente la voglia di ritornare a nazionalismi “irresponsabili”, quasi cercando di uscire, di fuggire dalla globalizzazione e da tutti i tentativi, certamente problematici, di democrazia sovrannazionale.

Chiunque abbia studiato in maniera critica il ‘900 sa che il ritorno alle origini, al dato identitario, oltre a rappresentare un bisogno naturale e legittimo di ogni essere umano, può diventare un atteggiamento e una pratica “irresponsabili”; è venuto il tempo di pensare visioni di ”comune”, di ri-costruire relazioni, di ri-trovare l’importanza della mediazione e della progettualità, di operare sintesi innovative di civiltà.

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