(...) Ecco cos'è davvero radicale (nel senso della profondità) nella condizione umana: la fragilità. La "profondità e radicalità" del bene a cui fa riferimento Arendt nel suo dialogo a distanza con Scholem non andrebbero dunque intese nel senso tradizionale della pienezza d'essere del bene e del costitutivo deficit ontologico del male. Il bene umano è al contempo profondo e fragile, perché la sua fragilità rivela il segreto essenziale della condizione umana. L'umanità dell'uomo non è un dato, bensì un progetto, nel senso che essa si realizza come bene solo in quanto prodotto dell'iniziativa umana. Suo primo nemico è la pura passività perché, come detto, il bene, la felicità, la presenza sono essenzialmente il frutto della resistenza umana alla necessità, al fato. Ciò non significa, ovviamente, che Hannah Arendt sia sostenitrice di un umanesimo prometeico o volontaristico il cui obiettivo sarebbe di fare dell'uomo il sovrano della storia o della natura. Il suo è piuttosto un umanesimo tragico che ha molti punti di contatto con quello delineato da Martha Nussbaum nel suo scritto La fragilità del bene. Al pari di Arendt, anche per la filosofa americana l'immagine più corretta per rappresentare il destino umano è infatti quello di un individuo che agisce sullo sfondo della potenza sovrastante della necessità e che pure non cede a tale supremazia e tramite la sua reazione fa esistere il conflitto tragico. L'eroe tragico, in fondo, non "crea" il valore, la bellezza e il senso, piuttosto li fa emergere inserendo nella realtà la propria iniziativa come un cuneo tra forze contrastanti. E' il cedimento alla necessità (e tanto più il cedimento attivo alla necessità) a fare scandalo. Essa è sì malvagia (persino demoniaca nella sua propensione nichilistica) ed è esemplificata al meglio nella collaborazione volontaria alla processualità soverchiante della Natura e della Storia (o, meglio, ai miti moderni della Lotta per la sopravvivenza e del Progresso) predicata e realizzata nel Novecento dai regimi totalitari. Contro tale hybris nichilistica l'individuo arendtiano esercita la propria responsabilità combattendo, rispondendo cioè alla sfida del male con le risorse che la sua fragilità gli mette a disposizione. (...)
da Il dono di un cuore comprensivo: Hannah Arendt di fronte al Novecento (di Paolo Costa)
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