Tuesday 29 November 2016

Processi Critici - Le ragioni di un impegno (di Marco Emanuele)

Nel mondo di oggi c’è la necessità di uno “sguardo largo e lungo”. Avverto l’urgenza di un “progetto di civiltà” dicendo che, nel nostro mondo a-polare , esso viene sempre più male inteso e praticato come “progetto di civilizzazione”, di sopraffazione, di dominio anche attraverso l’utilizzo della maschera sfolgorante della democrazia, attraverso il “circo mediatico” e nel “vuoto politico”. Anche se è tutt’altro che facile, tento di contestualizzare il bisogno di un “progetto di civiltà” e di provare a rispondere alla domanda: perché occorre impegnarsi ? Certamente non ho l’ambizione di definire una risposta onnicomprensiva in questa riflessione, il che sarebbe folle, ma ho l’intenzione di avviare un processo, di ri-tornare alla realtà- in- noi, che spesso dimentichiamo.

Se dovessi individuare un punto dal quale sviluppare il ragionamento partirei da come si possa guardare alla storia: pongo il tema di un atteggiamento progettuale, dentro alle informalità e alle transizioni, dinamico che, invitando ciascuno di noi a calarsi dentro la verità della realtà (e a innovarsi, fecondandosi), nei fatti ci stravolge e ci chiama a una responsabilità del tutto sconosciuta al nostro pensiero ancora statico, lineare, separante, escludente, compartimentato, “novecentesco”, adatto a un mondo che non c’è più. E questo si vede, particolarmente ma non solo, in politica.

Scrivevo prima di “vuoto politico”. Ebbene, c’è una “miseria politica” per superare la quale non abbiamo bisogno di “angeli del cambiamento” (di quelli che “ci mettono la faccia” o, peggio mi sento, dei politici del “o riforme o morte” o del “dopo di me il nulla”) bensì di paradigmi innovativii, di ri-pensare per ri-fondare la politica in senso complesso. La spinta sulla personalizzazione cancella gli spazi dell’esperienza politica, del talento politico che è il talento di guardare dentro la realtà per guardare oltre. L’esperienza politica, calata nella realtà-che-è, permette di ri-pensare “luoghi” condivisi di partecipazione e di governo, ben sapendo che il governo della realtà non può essere onnicomprensivo perché, realtà docet, non tutto è governabile e, aggiungo io, fortunatamente.

Altresì, cambiano continuamente le forme e le modalità del partecipare e del governare. In un tempo storico nel quale lo “stato” novecentesco sta perdendo molto del suo senso e le democrazie rappresentative sono sempre di più “senza demos”, è tutt’altro che banale ri-fletterci nelle grandi questioni sulla convivenza.

La mia impressione, e non può che essere tale viste la fluidità, la velocità e la radicalità dei processi storici, è che non si possano più assolutizzare le nostre “certezze lineari” su noi stessi e sulla realtà, il che non significa – per quanto ovvio – che sia sbagliato avere certezze. Una sana cultura del dubbio serve a relativizzare le certezze, a problematizzarle, a calarle nella realtà rendendole realistiche. Troppi sono i processi storici nel tempo che viviamo, e troppa è la loro interrelazione sistemica e la loro innovazione veloce e radicale, per conservare come “eternamente immutabili” i “dogmi” della certezza e della linearità.

Basta guardarci intorno per capire che la realtà sembra evolvere “al di qua” della nostra responsabilità, quasi che il mondo debba proseguire la sua folle corsa competitiva nonostante noi. E in quel “nonostante noi” c’è tutto il dramma della grande maggioranza dell’umanità, laddove solo una piccola parte è davvero coinvolta nei processi storici “che contano”. Non sto facendo una constatazione antagonistica, contro qualcosa o contro qualcuno, ma mi limito a descrivere ciò che vedo così come, realisticamente, dovremmo cominciare a chiederci se il popolo è sempre stato, e sia davvero, sovrano nelle nostre democrazie.

Penso che sia venuto il tempo di “ri-appropriarci” di ciò- che-siamo e della realtà-che-è. Se la storia, la realtà, hanno bisogno della nostra partecipazione e del nostro contributo originale e irripetibile, altresì ciascuno di noi ha una responsabilità personale, diretta, ineludibile che non può delegare ad altri e della quale non può disfarsi come se fosse un fardello troppo grande da portare. Responsabilità non è solo “amore per la cosa pubblica” ma è anche coinvolgimento del cittadino che non è solo “fruitore” della democrazia ma che ne è anche “fornitore” in termini di esperienza, di creatività, di pensiero critico, di giudizio storico.

La realtà ci chiama perché noi siamo realtà, non la esauriamo ma ne siamo parte integrante e fondamentale. Ecco che abbiamo la responsabilità della sua evoluzione secondo “giustizia” e della sua “ri-creazione”, processi che non riguardano un “altro tempo” rispetto a quello che stiamo vivendo ma che, nel nostro tempo, ci portano nel profondo e nell’oltre. Infatti, la separazione tra noi e la realtà si lega alla scelta, sempre più diffusa, della “superficialità imminente” nell’ “eterno presente”.

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