Le democrazie "competitive 4.0" rischiano di perdere la loro "anima", di sacrificare l'esperienza democratica. Siamo arrivati al punto che il votare forze cosiddette "anti-sistema" o l' astenersi viene classificato come "anti-politica". Questa definizione rischia di far de-generare ancora di più l'esperienza democratica perché interpreta in modo erroneo scelte totalmente politiche dei cittadini.
Le classi dirigenti in democrazia, per ri-tornare a essere tali e non solo "megafoni" eterodiretti, dovrebbero ri-pensarsi alla luce dei nuovi "stimoli" che i processi democratici offrono loro. Qui il problema non è di essere a favore o contro alcune posizioni ma di ri-trovare il senso e la dignità della politica che continua e continuerà ad essere l'attività nobile che permette di comprendere e di governare ciò che accade nelle società. Le classi dirigenti hanno la responsabilità di considerare ciò che accade non come un errore (quando non è gradito) ma come la realtà-che-è, facendo i conti con il fatto che il mondo di oggi chiede sintesi politiche adeguate ai tempi, accantonando l'armamentario novecentesco ma anche guardando alle dinamiche del "secolo breve" per ri-pensarle e per cercare di capire come siamo arrivati a questo punto. Il mondo a-polare non si è formato per caso, non stiamo vivendo un accidente della storia.
Oggi, secondo me e ricordando Edgar Morin, siamo tornati alla preistoria della condizione umana. Da un lato abbiamo le grandi innovazioni tecnologiche e informatiche e, dall'altro lato, abbiamo lo sfogo incontrollato degli istinti primordiali; è fin troppo evidente che mancano la mediazione e la progettualità della politica e la "profondità" di un pensiero complesso. Ci vuole un impegno comune, e il più possibile condiviso, per ri-tornare alla realtà di ciò che stiamo diventando.
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