Wednesday, 14 December 2016

Diario Minimo - Liturgie del potere e "segni dei tempi" (di Vincenzo Scotti)

L’anno 2016 si avvia alla conclusione. Non è stato un anno “breve” e di “passaggio” ma, al contrario, è stato un anno destinato a lasciare un segno forte nella storia del mondo. Non c’è stata l'esplosione di una rivoluzione all'insegna dell’anti - politica e del populismo, così come i mass media hanno raccontato e commentato nel susseguirsi delle vicende sociali e politiche. A ben guardare, nel convulso dipanarsi dei fatti comincia a farsi strada l’idea che, nei Paesi di antica industrializzazione, la società è certamente una società secolarizzata, laica che ha accolto l’insegnamento della razionalità così come ci è stata trasmessa dalla scienza moderna e dalla economia dello sviluppo capitalistico. Ma da ciò non si deve trarre la falsa conseguenza che sia una società che rifiuta ideali, identità forti, prospettive di lungo periodo. In questi ultimi anni siamo spettatori del progressivo disvelamento di questo cambiamento maturato nel tempo e di cui non ci siamo accorti; non siamo stati capaci di rispondere alle sfide uscendo dalle vecchie analisi e ideologie racchiuse nelle due grandi opzioni di "destra" e "sinistra", entrambe collocantesi dentro il tentativo della politica di cercare la sua sicurezza nel patto di assoggettamento e di dominio.

Alla fine, "destra" e "sinistra" sono approdate a forme di totalitarismo e di integralismo che hanno prodotto e stanno producendo tragedie immani. Il dato politico da cui non possiamo prescindere è che la società non può più continuare a essere "materia bruta" per le manipolazioni di un monopolio della politicità, nelle mani di un ceto che si chiami partito, movimento, rete web. 

Siamo abituati a classificare come anti politica le scelte elettorali dei cittadini riferite alle proposte del ceto politico. Il ceto non percepisce che, alla domanda di autonomia e di compartecipazione alla “politica”,  vengono proposte sia un'astratta coerenza delle proposte con il "mercato" e non con la "giustizia" che una razionale efficienza delle istituzioni pubbliche che portano a un ulteriore restringimento dell’area della partecipazione.

In questi giorni, guardando alla liturgia dei riti del potere politico al suo più alto livello, il Quirinale, pensavo quanto questi riti siano ormai totalmente vuoti di significato simbolico e quindi in grado di coinvolgere la partecipazione e scatenare la "passione" di una identità nazionale. Quello che le televisioni hanno trasmesso e che i giornali hanno descritto è stato il freddo sfarzo di una Corte fondato sul potere e non sulla autorevolezza. Si è visto un presidente mite e di grande spessore ma apparso come “sovrano”, quasi spaesato dentro un Quirinale regale, circondato da tutti i suoi uomini, a partire dai corazzieri, che hanno conservato i riti del cerimoniale vaticano e sabaudo di tempi andati.

Papa Francesco, fin dall'inizio del suo Pontificato, ha dato  un taglio netto alla sua Corte, dismettendo tanti dei simboli del potere destinati ormai solo a creare una barriera di incomunicabilità tra le persone e il Papa stesso. Era sembrato, per qualche istante, che anche i poteri temporali del mondo facessero la stessa operazione ma, purtroppo, ciò si era rivelata una illusione avendo, il potere temporale, quasi più bisogno del potere spirituale di marcare la distanza con il popolo attraverso i segni della forza per governare.

Nel recente voto referendario, al di là del fuoco concentrico su Renzi che, senza protezione, si era esposto a un facile tiro al bersaglio, il confronto non si è concentrato su una idea politica capace di scatenare una scintilla nella direzione di un cambiamento necessario al Paese reale, anche se talvolta apparso confuso.

Il confronto si è focalizzato su questioni di architettura costituzionale riguardante questioni di efficienza apparsi fini a se stessi. Per esempio, è balzato in primo piano il tema della riduzione dei costi della politica sui quali, alla fine, il risultato non era tale da spostare la dimensione degli investimenti per lo sviluppo e il valore assoluto del risparmio non era così significativo rispetto all’ammontare totale della spesa pubblica e del debito pubblico. Il fronte del no, pur non indicando una credibile ipotesi alternativa, nonostante i tanti anni di sterile iniziativa, non ha messo sul tavolo una idea politica forte e capace di dare un'anima al cambiamento.

Allora, cosa fare? Cerchiamo, in primo luogo, di leggere i "segni dei tempi": quale è l’aspirazione di fondo e la ragione profonda di quella che chiamiamo “protesta” ? Non è certamente il bisogno di un "governo- ponte", pensando che tutto si riduca a un cambio di passo e che non sia necessaria, invece, una svolta radicale nella direzione di marcia.



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