Abbiamo un'idea ed una pratica preistoriche della libertà, tanto quanto stiamo degenerando e precipitando nella preistoria della condizione umana. Per meglio dire, consideriamo libertà soltanto ciò che ci permette di imporre il nostro punto di vista, la nostra forza, le nostre limitate competenze o nozioni.
Una libertà che non libera, che non dialoga, non è tale. Noi pensiamo di essere liberi nell'espressione impositiva del nostro (presunto) potere mentre, in realtà, diventiamo sempre più prigionieri della nostra precarietà, contemporaneamente precarizzando i rapporti umani, svuotandoli di senso. E questo succede nella "esasperazione competitiva" che, secondo me, è uno degli indici più evidenti di quanto stiamo degenerando nel disumano e nell'irreale. Per questa ragione, insisto sulla necessità di una rinnovata "cooperazione strategica", che è la conseguenza storica naturale della libertà intesa e praticata come liberazione; ed è qui, nella cooperazione, che possiamo progressivamente fuoriuscire dalla preistoria della condizione umana per ricongiungerci con il nostro "essere umani".
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